
Yves Coppens
Club Italia-Francia: La sua carriera accademica è cominciata a Parigi. Una carriera importante, che l’ha portata ad esplorare i quattro angoli del mondo. Che rapporto ha con Parigi? Cosa le deve? Qual è la sua relazione con questa città nella quale ha studiato, e che Le ha permesso di diventare il più grande paleoantropologo vivente?
Yves Coppens: Amo Parigi, avevo sempre questa voglia di venirci e ritornarci ancora. Sono nato in Bretagna, ma i miei genitori mi hanno portato molto presto a Parigi, ben prima dei miei 10 anni, e poi sono tornato regolarmente per visitarla, partecipare ad eventi culturali o per vedere degli amici. Mi ci sono poi stabilito definitivamente nel 1956, quando ho ottenuto un lavoro alla Sorbona all’età di 22 anni proprio mentre stavo lavoravo alla mia tesi, e da lì, non l’ho più lasciata. Molto spesso ero assente, impegnato in missioni lontane. Ho visto una Parigi cangiante: quando la si vive quotidianamente, non se ne percepisce la trasformazione, per rimarcarla, è necessario rifletterci. Ho conosciuto la Parigi caratteristica, quella dell’accento parigino, oramai scomparso. Era l’accento delle persone che a Parigi ci erano nate, non era l’accento delle odierne banlieue, ma quello dei sobborghi. L’accento del sobborgo con la fisarmonica che spesso lo accompagnava, rappresentava una vera e propria tradizione popolare. È la stessa Parigi che ci capita di vedere spesso nei cinema, con quelle immagini di una Parigi un po’ romantica, al tempo stesso cupa, accompagnate da una melodia di fisarmonica come sottofondo. Ho visto Parigi trasformarsi, i quartieri muoversi, persone di più paesi arrivarci. Amo le persone di tutto il mondo, e più Parigi è mista e cosmopolita, più amo Parigi. Non ho nostalgia della Parigi che conoscevo. È una città bellissima, ben delineata dal prefetto Hausmann anche se scommetto che se avessi vissuto alla sua epoca, l’avrei certamente odiato perché deve aver distrutto un sacco di reperti della vecchia Parigi, quella antica e medievale, e ciò è terribile. Detto questo, oggi Parigi è molto ben delineata e questa caratteristica le conferisce uno charme e un’estetica particolare.
“L’uomo è nato in Africa circa tre milioni di anni fa. Nella lettura del suo DNA troviamo tracce, segni, stigmi di un certo numero di ibridazioni di pre-umani. È singolare: dopo così tanta biodiversità, oggi esiste una sola specie umana».”
Club Italia-Francia: I dati a nostra disposizione mostrano che l’Homo Sapiens discende dagli ominidi africani e quindi, lui stesso, ha origini africane. L’Homo Sapiens ha iniziato a lasciare l’Africa per andare un po’ ovunque nel mondo, senza temere contaminazioni e ibridazioni, che certamente ci sono state. Pensa che la contaminazione con altri ambienti, con altri popoli, con altre culture sia dunque un istinto primordiale dell’uomo? Perché adesso questa contaminazione sembra essere pericolosa, quasi dannosa?
Yves Coppens: La paleontologia ci mostra che l’uomo è nato in Africa circa tre milioni di anni fa, che dalla sua nascita è stato molto mobile e si è trasferito molto, si è spostato in Africa e fuori dall’Africa, all’incirca due milioni e mezzo di anni fa. Dobbiamo immaginarci questa prima ondata migratoria, come una spinta a muoversi per il desiderio di cercare del cibo e al tempo stesso per il bisogno e il piacere del movimento, così come per cercare condizioni di vita migliori; progressivamente questa onda migratoria ha coperto tutto il globo. L’uomo moderno, quello che chiamiamo homo sapiens, è arrivato in Africa, e esattamente come il suo predecessore, si è insediato in tutto in territorio africano, e successivamente, prendendo la via più semplice, ha attraversato il Sinai, arrivando in Eurasia, dove ho incontrato i discendenti dei primi che avevano intrapreso quello stesso percorso circa 2 milioni di anni prima; trasferitosi, non si installerà grazie a una catastrofe umana o un genocidio, ma gradualmente, senza dubbio, per alcune caratteristiche che gli garantivano una certa superiorità: in effetti, i bambini degli homo sapiens avevano una crescita più lenta e un tempo di apprendimento più lungo; è stato questo tempo di apprendimento a dare all’homo sapiens, una prevalenza sugli altri umani. D’altra parte, è possibile fosse anche meglio armato e demograficamente più importante. Questo fece sì che, a poco a poco, l’incontro con le altre specie, ha determinato l’estinzione di queste stesse. Non si tratta di una totale estinzione, perché oggi nella lettura del DNA possiamo trovare tracce, segni, cicatrici di queste incroci con l’uomo di Neanderthal da una parte e con l’uomo di Denisova e erectus d’altra; ma tutto ciò non ci impedisce di affermare che l’Homo sapiens a lungo andare ha prevalso e si è ritrovato solo su terra. È singolare: dopo così tanta biodiversità, oggi esiste una sola specie umana.
” Quando studiamo la storia dell’uomo, ci rendiamo conto che la nozione di razza non esiste, la prima cosa che possiamo notare è che l’origine dell’uomo è unica, l’uomo trova la sua origine in Africa e i […] cambiamenti di colore, della forma del naso, della forma degli occhi, sono dovuti esclusivamente a delle necessità di adattamento.”
Club Italia-Francia: In questo momento in Europa si è acceso un dibattito sulla difesa della cosiddetta “razza bianca”, che secondo alcuni politici andrebbe preservata dall’ “invasione” dei migranti. A questo proposito non si può non pensare Einstein, il quale, in fuga dalla barbarie nazista, approdò a Ellis Island. Al suo arrivo, un ispettore gli domandò: “Razza”? e la risposta di Einstein fu: “Umana”. Lei che ha studiato le origini dell’uomo, si è mai chiesto se esistano o meno le categorie razziali? Pensa che la razza sia un’invenzione umana?
Yves Coppens: Il concetto di razza esiste perché è applicato a molti mammiferi, ad esempio, sappiamo che in primo luogo esiste il genere, che per noi è il genere umano, in secondo luogo esiste la specie, quindi la specie Sapiens e ancora, la sottospecie, ovvero l’homo Sapiens Sapiens. Quando studiamo la storia dell’uomo ci rendiamo conto che la nozione di razza non esiste, per prima cosa comprendiamo che l’origine dell’uomo è unica, l’origine dell’uomo è africana, tropicale potremmo dire, e che quei meccanismi di cambiamento del colore, della forma del naso, della forma degli occhi, sono solo dovuti alla necessità di adattarsi. Secondo le leggi della biologia, è evidente che le popolazioni che lasciano le regioni tropicali e africane per migrare nel resto del mondo, ebbene, queste popolazioni sono esposte sempre meno al sole, e per far si che la vitamina D, necessaria per la crescita, continui a essere sintetizzata dal corpo, perdono man mano la loro pigmentazione. Ecco perché mi diverto nel dire che i bianchi non sono in realtà bianchi, ma semplicemente scoloriti, e che i neri non sono colorati, ma abbronzati. Questo può essere dimostrato, per esempio, prendendo in considerazione il popolamento dell’America, un fenomeno molto più recente: circa 50.000 anni fa, la popolazione ha occupato tutta l’America da Nord a Sud, e ora stiamo cominciando a vedere questo cambiamento nel colore della loro pelle. Il colore degli Amerindi delle Grandi Pianure del Nord America e delle pampas del Sud America non è il colore degli amerindi della foresta amazzonica. Allo stesso modo in cui siamo sbiaditi spostandoci dai tropici alle aree più a nord del pianeta, gli amerindi si sono abbronzati per adattarsi agli ambienti in cui si trovavano. Per il naso potremmo ripetere lo stesso discorso, è una questione di respirazione: quando ci troviamo in paesi molto caldi il naso dovrà dilatarsi mentre nei paesi freddi il naso tenderà a restringersi. Tutti questi adattamenti sono abbastanza ordinari, classici e facili da spiegare. In seguito, quando abbiamo avuto la possibilità di lavorare sui tessuti degli uomini, e poi nelle loro cellule e poi ancora su delle porzioni più piccole come il DNA e i nuclei, ci siamo resi conto che c’erano tutte quelle sfumature, tutte quelle caratteristiche delle altre specie, ed era impossibile fare delle distinzioni relative alle razze. Allora, parlavamo ancora di razze e sotto-razze. Ricordo che quando arrivai alla sotto-direzione e poi alla direzione del Musée de l’Homme nel 1969, uno dei mecenati del museo era un antropologo, si chiamava Henri-Victor Vallois. Aveva scritto un piccolo libro nella collana francese “Que sais-je” che si chiamava “Les Races Humaines” ed era chiaro che questo sfortunato antropologo si era dovuto torturare per fare rientrare gli uomini in “cassetti” e “piccoli cassetti”; i naturalisti amano classificare le cose– capisco che sia più facile avere a che fare con delle scatole ordinate l’una accanto all’altra – ma, in effetti, la biologia è più permeabile e le storie delle scatole razziali, semplicemente non esistono.
” L’ambiente è essenziale». «La storia della vita è aleatoria.”
Club Italia-Francia: Lei ha studiato le correlazioni tra l’evoluzione degli ominidi e l’evoluzione degli ambienti. Ha affermato che si è passati dal pre-umano allumano, a causa di un importante cambiamento climatico e della necessità di adattamento che questo ha comportato. Come vede la storia umana degli ultimi anni? Come ci siamo adattati ai cambiamenti e in cosa abbiamo fallito?
Yves Coppens: L’ambiente è essenziale nella storia della vita. Un essere è vivo solo nella misura in cui si trova in un ambiente. La vita è proprio il frutto di questa associazione tra l’essere e l’ambiente, sappiamo bene ad esempio che quando si va nello spazio è necessario avere un equipaggiamento speciale, proprio perché non abbiamo, in quel momento, l’atmosfera che ci serve, alla quale siamo abituati, vale a dire il nostro ambiente naturale di vita. L’ambiente è essenziale. La storia della vita è aleatoria e gli esseri viventi, quando gli ambienti cambiano, non si sentono più in equilibrio nell’ambiente che è cambiato e quindi devono trovare un nuovo equilibrio per sopravvivere, e in quel momento, come sempre accade, ecco che si verificano delle mutazioni casuali negli esseri viventi: cercano di adattarsi al nuovo ambiente con una prima mutazione che probabilmente non funzionerà immediatamente, e fallimento dopo fallimento, si cadrà infine sulla buona mutazione. Questa sarà finalmente la mutazione che gli permetterà di adattarsi meglio al nuovo cambiamento.
Cosi, a poco a poco, cambiamo, ci trasformiamo, evolviamo – da qui il termine evoluzione che oggi utilizziamo – e questo sviluppo è ampliamente dettato dall’ ambiente, anche se bisogna ammettere che risulta essere un po’ strano nella forma in cui si realizza: scambia geni, cellule, è un’evoluzione complicata. Ci sono anche co-evoluzioni, sviluppi paralleli tra esseri diversi che usano l’un l’altro, come i fiori e le api. Il risultato è che l’evoluzione si presenta come un processo complicato, frammentato, in cui l’ambiente ha sempre l’ultima parola. Senza adattamento all’ambiente non c’è sopravvivenza. È per questo che ho sempre attribuito grande importanza all’ l’ambiente, questo anche grazie alla mia formazione europea e alle università che ho frequentato, nelle quali ho potuto studiare la geologia, la zoologia, la botanica, e specializzarmi con colleghi americani di generazione più recente. E questo mi dà il vantaggio di comprendere meglio l’ambiente nella sua concezione più ampia, dal momento che ho già nel mio bagaglio culturale la conoscenza delle varie tipologie di clima della terra; questo mi esonera naturalmente da un’analisi molto più dettagliata. Sono uno studioso molto preciso nell’esaminare gli oggetti e i fossili con i quali mi trovo a lavorare, ma non si può essere al contempo uomo di sintesi e di analisi: io, per mia formazione, sono piuttosto un uomo di sintesi.
” Un mito è un discorso attorno al quale una popolazione si riunisce, e lo scopo di tutte le società del mondo è stato quello di stringere attorno a un’idea di questo tipo quante più persone possibili, nel miglior modo possibile e nella forma più duratura possibile.”
Club Italia-Francia: L’Homo Sapiens aveva, come lei afferma, “capacità di azione, di riflessione, pensiero, espressione artistica”. Lei fa riferimento alle incisioni e ai celebri dipinti lasciati sulle pareti delle grotte. Pensa che questa capacità di riflessione, questa intelligenza e questa capacità di elaborazione artistica, che sembrano esistere sin dai tempi dei nostri progenitori, siano la molla attraverso la quale ci siamo evoluti e attraverso la quale ci evolveremo nel futuro? Come vede l’evoluzione umana oggi e in futuro? Quali sono e quali saranno gli strumenti che l’uomo adotterà per evolversi?
Yves Coppens: L’evoluzione, come oggi la conosciamo, è un concetto recente. Cominciamo con lo studio della preistoria, della paleontologia umana, quindi ci imbattiamo in fossili umani, resti preistorici, piccoli oggetti fatti da questi umani, quindi riusciamo ad avere accesso sia allo sviluppo anatomico di questi uomini, sia al loro sviluppo cognitivo, intellettuale e spirituale proprio grazie agli oggetti che ci hanno lasciato. È evidente che tale sviluppo cognitivo e spirituale non è scritto nelle ossa, e in questo modo possiamo seguire un’evoluzione nella produzione di strumenti, di piccole attrezzature di vita quotidiana, come anche un’evoluzione del suo pensiero, del suo modo di essere e di concepire il mondo. Si tratta davvero di un’evoluzione, un progresso, anche se in generale, sono criticato per quello che dico, e tale evoluzione fa sì che il livello della concezione spirituale di oggi sia molto più raffinato di quello dei primi uomini. Conosciamo tutto questo attraverso ciò che loro ci hanno lasciato: pensiamo per esempio al trattamento dei morti, dapprima un po’ brutale, poi un po’ più raffinato grazie alle sepolture e alle cure date ai defunti. Per arrivare a oggi, periodo nel quale in nessuna società la morte fa parte della vita. La vita finisce con la morte. Cerchiamo di prolungarla, di respingerne ed evitarne la fine, ma si tratta di veri e propri sotterfugi, ed è divertente seguire questi processi nelle diverse società.
Allo stesso modo, pensiamo agli oggetti usati per abbellire il corpo, o ancora gli oggetti decorativi: da strumenti che non servivano a “nulla” sono diventati successivamente strumenti dotati di una certa utilità. Oggetti per adornare il corpo come ad esempio collane o bracciali, compaiono intorno a centomila anni fa e lo stesso vale senza dubbio anche per i tatuaggi. Verso 50.000 anni fa, appaiono le prime incisioni e dipinti, questa volta l’uomo si esprime facendo conoscere ciò che sa. Mi piace pensare che l’animale ha delle capacità di comprensione, i preumani conoscevano molte cose, ma dal momento in cui l’uomo appare, grazie al suo sviluppo cerebrale, acquista una certa consapevolezza del suo sapere: questo fa sì che riesca ad anticipare certe situazioni e quindi produca strumenti non per una utilizzazione immediata, ma per funzioni che ha immaginato di poter svolgere in futuro. Tutto ciò significa quindi che anticipa le cose. E dal momento in cui si proietta in questo modo, sugli oggetti o sulle pareti all’aperto o in una grotta, non solo è cosciente di ciò che sa, ma desidera comunicare ciò che conosce. E ciò che rappresenta non sono piccoli disegni, ma si tratta piuttosto della rappresentazione di veri e propri miti. Riproduce miti alla ricerca delle sue origini, perché un mito è un discorso attorno al quale si raggruppa una popolazione e il fine ultimo di tutte le società del mondo è stato quello di stringere attorno a una tale idea quante più persone possibile, nel miglior modo possibile e nella forma più duratura possibile. Guardate, ad esempio, questa ultimo e sfarzoso matrimonio reale in Inghilterra: personalmente lo ammiro e lo trovo bellissimo, ma allo stesso tempo frutto di una strategia molto abile, un modo di unire non solo le popolazioni inglesi e anglofone, ma anche unire le popolazioni del Commonwealth, dell’ex Impero britannico, in modo abile e molto più umano e libero. Questa non è una critica, al contrario, la trovo una strategia molto buona e intelligente, proprio perché rappresenta un modo di incontrarsi attorno ad un’idea, come può essere ad esempio una religione. È sempre la stessa cosa, creiamo una società, ed è necessario che questa società sia compatta e sappia resistere di fronte al possibile aggressore, e affinché la società resista bene è necessario unirla, riunire le persone attorno a un’idea che abbia successo. Mi sono preso cura della grotta di Lascaux per sette anni; mi interesso a tutte le grotte preistoriche, alle loro incisioni e ai loro dipinti raffigurativi della terra, ed è chiaro che in riferimento a Lascaux si tratta di un vero e proprio discorso, di una bella storia, di miti che i privilegiati potevano venire a leggere perché non era possibile trasportare la grotta all’esterno e questa storia sembrava sicuramente loro molto interessante e poetica. Probabilmente questi giovani, invecchiando hanno ripetuto questi miti a più riprese, motivo per il quale queste popolazioni Solutreane e Maddalenesi si riunivano attorno a dei santuari mentre erano nomadi. Queste persone si muovevano in base alle stagioni di raccolta o di caccia, ma si ritrovavano attorno ai santuari nei momenti festivi, motivo per cui hanno cominciato a riempire il loro “calendario” di feste, proprio per non perdere il contatto tra loro. Fin dall’inizio dell’umanità è sempre stato così: se vuoi essere forte, devi stare insieme.
” [Lucy] è un piccolo personaggio che ha appassionato il pubblico e ha avuto un successo sorprendente. Siamo rimasti noi stessi molto sorpresi di scoprire quanto Lucy sia diventata famosa.”
Club Italia-Francia: Lei è stato lo scopritore, tra l’altro, del famoso australopiteco Lucy, una nostra progenitrice con più di 3 milioni di anni. Questa scoperta è stata eccezionale, anche perché ha portato l’uomo a porsi ulteriori domande su chi sia e da dove venga. Pensa che sia importante capire, in mezzo ai problemi odierni e a una sorta di crisi della coscienza e dell’identità collettiva, questa identità che rende gli essere umani tutti simili e tutti consapevoli?
Yves Coppens: Lucy è stata una scoperta importante perché invece di trovare un osso preumano di una specie e poi un pezzo di mascella un po’ più lontano di un altro preumano, anche se della stessa specie, abbiamo trovato 52 ossa dello stesso individuo, ciò che ci ha permesso di conoscere le sue dimensioni, anche se molto piccole, il suo peso, la forma delle sue articolazioni. Quindi, se conosciamo la struttura delle articolazioni, possiamo dunque trarre delle informazioni sui suoi comportamenti, informazioni funzionali, come abbiamo già detto prima, all’ambiente in cui ci si trova, e traiamo quindi delle informazioni supplementari su questi stessi ambienti. Insomma, tutto torna. Era uno scheletro meno incompleto degli altri, ricordiamo che ogni scheletro è composto all’incirca di 206 ossa, ma da allora abbiamo trovato scheletri molto più completi altrove. Lucy è stata una scoperta estremamente importante, perché in quel momento era il più vecchio scheletro preumano scoperto, e poi fu grazie a Lucy che siamo riusciti a capire come questi fossero esseri “intermediari” tra i primati precedenti che si arrampicavano ovunque, e i successivi umani che camminavano. E questi pre-umani come Lucy allo stesso tempo si arrampicavano ma cominciavano anche a camminare, una scoperta inaspettata per noi che studiavamo l’evoluzione. Il primo Australopithecus pre-umano era stato scoperto nel 1924 in Sud Africa, già da lì, avevamo intuito che l’origine avrebbe potuto essere nel settore dei tropici africani. Dopo Lucy abbiamo trovato uno scheletro chiamato Little Foot, questo perché abbiamo trovato il suo piede prima di tutto il resto, e ancora, abbiamo trovato preumani di 5, 6, 7 milioni di anni. Lucy è rimasta un simbolo dell’origine dell’uomo. È un piccolo personaggio che ha appassionato e che ha avuto un successo sorprendente. Siamo rimasti noi stessi molto sorpresi di scoprire quanto Lucy sia diventata famosa.
” Se vogliamo progredire dobbiamo proporre ipotesi e l’ipotesi può solo nascere dall’immaginario, che si basa sui dati concreti.”
Club Italia-Francia: Einstein diceva che non c’è conoscenza senza immaginazione, e lei invita gli scienziati ad avere immaginazione, a non dare nulla per scontato. Pensa che la capacità di essere visionari, senza ovviamente abbandonare il ragionamento scientifico, sia una componente fondamentale per il progresso umano al giorno d’oggi?
Yves Coppens: Si tratta di una componente fondamentale per tutto il progresso umano. Certo, la scienza ha delle regole, la scienza deve essere fredda, non deve sognare, ma deve ancorarsi su fatti e realtà. La scienza descrive il mondo nel modo più rigoroso possibile, la scienza si sforza di capire come funziona il mondo e in questo stadio successivo di verifica delle ipotesi formulate c’è già un po’più di immaginazione. Condivido l’idea di Einstein nel senso che se vogliamo progredire, dobbiamo proporre ipotesi e l’ipotesi può nascere solo dall’immaginario, un immaginario però che si basa sui dati concreti. Quindi la scienza ha come ruolo quello di confermare o invalidare l’ipotesi. Se confermiamo poi, facciamo altre ipotesi, e così via. Ma dove non sono d’accordo con Einstein è sull’importanza e il peso conferito all’immaginazione: lui afferma che l’immaginazione è la parte più importante; l’immaginazione è molto importante, ma a mio avviso, la cosa principale sono i dati e la descrizione della realtà.
” […] non ci sono prove che la storia evolutiva dell’uomo sia completa, nessuna prova che l’Homo sapiens non avrà discendenti di altre specie e nessun indizio che l’evoluzione sia giunta alla fine e che si fermerà qui.”
Club Italia-Francia: Lei ha citato il padre gesuita Pierre Teilhard de Chardin, dicendo che anticipò l’evoluzione dell’umanità grazie alle sue idee sull’intelligenza umana complessa. Come lei ha spiegato, le relazioni esistono dall’inizio dei tempi, l’uomo è da sempre un essere che ha necessità di connettersi con gli altri. Internet crea una connessione che fa sì che l’uomo non debba più muoversi per incontrare i suoi simili e per esplorare. Pensa che tale connessione odierna sia sintomo di modernità o vede piuttosto una regressione in essa?
Yves Coppens: Ho letto e amato Pierre Teilhard de Chardin senza averlo mai incontrato, sfortunatamente è morto nel 1955. Ho amato il suo pensiero molto chiaro ed elegante, da vero scienziato. Ha cercato di collegare la scienza alla sua religione. Ho provato a studiare il suo lavoro scientifico, sono 250-300 articoli di un certo calibro, visto che è stato membro dell’Academy of Sciences. Quello che mi piace in Pierre Teilhard de Chardin è prima di tutto la sua conoscenza scientifica che gli permette di immaginare e anticipare il futuro, oserei dire che si trattava di un chiaroveggente. Il modo in cui descrive l’evoluzione dell’uomo e in cui anticipa il futuro è sorprendente. Mi riferisco a quando parla di noosfera (“sfera del pensiero umano”), dei nostri scambi di pensieri, delle nostre relazioni in tutto il mondo tra miliardi di persone. Ho contribuito a un film chiamato Odyssey of the Species (2003), nel quale i produttori hanno raggiunto circa 300 milioni di spettatori. Quando pensiamo agli eventi importanti di oggi come la partita, o determinate cerimonie, gli spettatori ammontano a miliardi, è semplicemente incredibile. E quando, non conoscendo nulla di tutto ciò, Teilhard ha proposto questa nozione di noosfera, ovvero questa idea di intelligenza umana complessa, che sta alla base dell’evoluzione umana e che può interagire anche con l’esterno, forse pensava proprio al fatto che ci fossero persone sulla luna o su Marte, e che avremmo potuto comunicare con loro. Non sono d’accordo su tutto ciò che dice e in particolare sulla sua volontà di far coincidere la sua religione con la scienza, sulla sua convinzione che tutto finisca con l’arrivo di Cristo. Non ci sono prove che la storia evolutiva dell’uomo sia completa, nessuna prova che l’Homo sapiens non avrà discendenti di altre specie e nessun indizio che l’evoluzione sia giunta alla fine e che si fermerà qui.
” Riusciamo a comprendere il presente ed il domani se conosciamo cosa è successo ieri. “La scienza ha sempre due facce, una meravigliosa e l’altra terribile […].”
Club Italia-Francia: A proposito di reti, questo è uno strumento che viene molto utilizzato dai giovani. I giovani sembrano essere proiettati verso il futuro, verso tutto ciò che parla di futuro, di innovazione, di progresso. Quanto è importante invece a suo avviso il fatto che i ragazzi di oggi conoscano la storia che invece sembrano essersi lasciati alle spalle?
Yves Coppens: Certo! Riusciamo a comprendere il presente ed il futuro se conosciamo cosa è successo ieri. C’è un bel proverbio africano, senegalese, che dice: “Quando non sai dove stai andando, guarda da dove vieni” e questo è ciò che succede ad alcune società, mostrando quanto sia importante la conoscenza del passato, delle origini, della storia. Ed è abbastanza chiaro per me che la paleontologia, nel riuscire a concepire un “calendario” è arrivata a capire il tempo, a datare le scoperte e la storia; la paleontologia è una vera e propria narrazione perché gli eventi sono classificati in ordine temporale e questa dimensione temporale è stata una straordinaria conquista anche per la mente umana. Ci ha fatto capire meglio chi era l’uomo e cosa rappresentava esattamente, ha messo l’uomo al suo posto nella storia del cielo, della terra, della vita.
Con l’avanzare della tecnologia, i giovani possono privarsi di certi studi perché sono già realizzati e automatizzati in alcuni strumenti, ciò gli consente di risparmiare del tempo e di imparare qualcos’altro, di andare oltre, in altre direzioni e ho grande fiducia nei giovani e nel futuro. Questi giovani sono molto entusiasti, buoni, interessati a un sacco di cose, si tratta di ingegneri e matematici migliori di quanto non lo fossimo noi, hanno accesso a molte più cose di noi e sento che l’umanità si sta sviluppando nella giusta direzione. Ogni momento storico porta con sé dei cambiamenti ed è vero che, ad esempio, la manipolazione genetica non è innocua o il trattamento delle molecole e degli atomi può portare a disastri; però sottolineo sempre che, grazie ai miei studi, ho potuto vivere a fianco dell’Homo Erectus e ho potuto vedere qualche giovane Homo Erectus inventare il fuoco con l’umanità del tempo che urlava dicendo “Che cos’è questa scoperta stupida? Faranno incendiare tutta la terra!”. La scoperta del fuoco inizialmente non è stata ben accolta ed interpretata nelle sue potenzialità, si pensava piuttosto che avrebbe potuto provocare un incendio, ma guardate: la terra non è stata devastata dagli incendi. Questo ci spiega che dobbiamo cercare di essere attenti alle scoperte e alla scienza: questa ha sempre due facce, una meravigliosa e l’altra terribile. Pensiamo all’energia nucleare, formidabile per tutte le pratiche mediche che possono usufruirne, terribile se utilizzata per la creazione della bomba atomica.
” Credo che gli umani, come tutti gli esseri viventi, esistano per adattarsi ai cambiamenti climatici». […]«Credo che la spiritualità sia nata allo stesso tempo di tutte le caratteristiche della razza umana.”
Club Italia-Francia: “L’uomo è irrimediabilmente ancorato ai simboli”. Così lei spiega una sorta di istinto religioso che è presente sin dalle origini dell’uomo. Ci sono simboli ai quali, a suo avviso, dobbiamo prestare attenzione oggi, simboli che possono imporsi negativamente o positivamente sulla società?
Yves Coppens: Credo che gli umani, come tutti gli esseri viventi, esistano per adattarsi ai cambiamenti climatici. Questo cambiamento climatico è stato, nei tropici dell’Africa, un clima secco. Per adattarsi a questo cambiamento c’è stata una selezione naturale e questa selezione ha fatto sì che l’uomo abbia beneficiato di una gabbia toracica diversa per respirare meglio in un clima più secco; grazie a tale mutazione, abbiamo visto nascere la possibilità di parlare un linguaggio più articolato. L’uomo si è adattato ad una dieta onnivora semplicemente perché non c’erano abbastanza piante e questo ha portato alla produzione da parte del nostro organismo di proteine animali per lo sviluppo nervoso e lo sviluppo del cervello, indispensabile per pensare a strategie migliori ed evitare di essere uccisi dai predatori. Questo sviluppo del cervello ha indotto il cervello a superare una certa soglia di complessità. Il paleontologo ha accesso alle circonvoluzioni inscritte sulla superficie interna della scatola cranica, ha accesso all’irrigazione, al volume dell’encefalo. Questo aumento del cervello e della sua complessità ha fatto sì che l’uomo diventasse intellettuale, spirituale e credo che la spiritualità sia nata nello stesso tempo di tutte le caratteristiche della razza umana. A livello teorico, penso che l’uomo sia stato un essere spirituale sin dalla sua comparsa, quando ha preso consapevolezza di vivere con altri suoi simili, del suo ambiente, della morte. Questo grado di consapevolezza della morte, lo porta a riflettere sui limiti della vita, sulle vite degli altri che gli sono vicini e sulla sua stessa vita: questo è un evento straordinario. I biologi dicono che la morte fa parte della vita e penso che il sacro sia nato proprio da questa visione, per scongiurare la paura e creare la protezione necessaria; ecco quindi che nasce quell’organizzazione di una dimensione sacrale, che è la religione. Tutto il resto segue. Il sacro è il simbolo: avevo fatto una conferenza a Milano che avevo chiamato “mai uomini senza simboli, mai simboli senza uomini”, credo che sia una caratteristica inerente alla natura umana, allo sviluppo del cervello umano. Ci sono persone che si professano atee, anche il loro ateismo è simbolico. Per essere un ateo dobbiamo svelare l’aspetto della sacralità che abbiamo in noi stessi. L’uomo ha un cervello particolare rispetto ad altri esseri viventi, e sono stato spesso criticato per aver messo l’uomo in cima alla piramide: mi dicono che la vita è apparsa 4 miliardi di anni fa mentre l’uomo è arrivato successivamente, 3 milioni di anni, quindi non possiamo dire che fosse presente sin da subito. Ma io non prendo come base di riflessione l’abilità di camminare o la modalità in cui ci si grattava la schiena, prendo come base la complessità dell’encefalo: ecco che l’uomo è in cima alla piramide. Certo, ci arrampichiamo meno bene di una scimmia, ma pensiamo meglio degli animali.
” […] I fossili sono pieni di memoria». «Oggi mi piacerebbe farmi inserire un microchip con tutta la conoscenza del mondo, con tutto ciò che è stato scritto e capito.”
Club Italia-Francia: Mi fa pensare a una delle frasi di Umberto Eco: “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita. Coloro che leggeranno avranno vissuto 5000 anni.” Leggere rappresenta il concetto di immortalità, vissuto al contrario: si padroneggia la propria storia, il corso dell’uomo fino ad oggi.
Yves Coppens: Penso che quando parliamo di lettura, e in questo faccio riferimento a ciò che ho scritto esaminando gli oggetti, i fossili e i denti mammut, impariamo a capire che questi fossili sono pieni di memoria, e cerchiamo allora di trovare metodi sempre più raffinati per imparare a leggere questi oggetti. Questa lettura è importante quanto la lettura degli scritti che hanno “solo” 6.000 anni, o 50.000 anni se consideriamo che l’arte rupestre sia una scrittura, cosa di cui io sono convinto. Lo sviluppo delle tecnologie è altrettanto interessante. Alla domanda che mi è stata spesso posta “se fossi su un’isola deserta, quale libro sceglieresti? Ho quasi sempre risposto “Tristano e Isotta”, ma questa domanda non ha più senso. Oggi vorrei farmi inserire un microchip con tutta la conoscenza del mondo, tutto ciò che è stato scritto e capito. Forse questa idea di immortalità non ha oggi molto senso e possiamo cercare di invertirla come vogliamo, grazie a tutte le nostre letture. Ed invece di cercare di diventare famosi per qualcosa, dovremmo restituire la celebrità a tutti gli oggetti che ci hanno permesso di avere la conoscenza e la libertà.
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Intervista del
1 Giugno
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Paleontologo, Paleoantropologo, Accademico. Ha organizzato, diretto e coordinato numerose spedizioni in Africa tropicale, Asia, Nord e Sud Africa, Medio Oriente, Sud America, nonché scavi in Francia e altrove.
