
Sergio Parisse
Club Italia-Francia: Lei è capitano della Nazionale italiana del rugby dal 2008 al 2019, capitano dello Stade Français, con cui vinse il suo secondo campionato francese, nel 2015, il Top 14. Si può dire che abbia, nella sua carriera, dimostrato carisma e motivazione allo stesso tempo?
Sergio Parisse: Sì, nella carriera di uno sportivo, soprattutto quando si hanno delle responsabilità, personalmente essendo stato capitano per tanti anni della Nazionale, ed anche con il club, occorre senso di responsabilità in ciò che si fa, ma [sì] anche un certo tipo di carisma, e di come affrontare le situazioni in campo, ed anche quelle al di fuori del campo. Il rugby, come i più sanno, è uno sport di squadra, quindi uno sport dove sicuramente il singolo è importante, ma soprattutto ciò che è più importante è il gruppo, è la squadra, e quindi all’interno di questa squadra, formato da tutti i singoli, il capitano, in modo particolare, ha un ruolo importantissimo. Io personalmente ho avuto quest’onore per tantissimi anni con la Nazionale ma anche con il club, e credo fermamente che un capitano debba avere un certo carisma per far passare il messaggio alla squadra, ma anche essere un trascinatore, e cercare di essere una persona che ha un’influenza, in tono con le persone con le quali magari condivide un campo, un campo da rugby, o anche un allenamento o un dopo partita, quindi sì, direi di sì.
Club Italia-Francia: Nonostante l’apprezzamento dei giocatori italiani all’estero, dall’ingresso poi nel Sei Nazioni da parte dell’Italia, con l’esordio appunto avvenuto il 5 febbraio del 2000, i risultati sono sempre stati un po’ altalenanti, caratterizzati da una sorta di difficoltà a dare continuità a vittorie epiche, a momenti meramente indimenticabili, per chi ha a cuore ovviamente questo sport. L’evoluzione del rugby italiano, se così si può affermare, ha tratto spesso da allenatori, dirigenti stranieri, spesso francesi. Come vede questa continua necessità di ricerca di migliorie se vogliamo provenienti dall’estero, e se si potrà un giorno ipotizzare ad una generazione talmente forte da poter invertire la rotta?
Sergio Parisse: Sì, diciamo che culturalmente l’Italia non è un Paese ancora a livello rugbistico, apportatore di una cultura e storia così importante, come lo sono le squadre che affrontiamo nel Sei Nazioni, tra cui la Francia, che è una squadra fortissima, non solo [da] adesso, ma detiene anche una cultura rugbistica molto più importante, ovviamente, quindi per noi il rugby, e sicuramente dall’ingresso del Sei Nazioni, in Italia il rugby è cresciuto, è cresciuto non solo come livello, ma anche a livello di popolarità, e di interessi attorno. “Parliamoci chiaro, in Italia il rugby non è ancora uno sport, che è conosciuto dappertutto in Italia. Nel centro-nord Italia, probabilmente il rugby è più conosciuto; nel centro-sud, soprattutto nel sud dell’Italia, le realtà sono molto poche, ed ovviamente i risultati sul campo sono il frutto e l’immagine di un movimento, di una Federazione, di una struttura”, che in questi anni si è migliorata assolutamente, dall’ingresso nel Sei Nazioni, ma sì, con risultati altalenanti. In questi anni, in Nazionale, abbiamo avuto diversi allenatori, in Nazionale maggiore, soprattutto di origine straniera, tra i quali due volte due francesi, M. Berbizier e M. Brunel, due allenatori che hanno avuto due cicli di quattro anni ciascuno, e probabilmente essendo latini, anche noi, siamo più vicini al rugby francese, come approccio, che al rugby anglosassone. Speriamo che ci sia un cambio di rotta, speriamo che nel breve futuro, ci siano anche, e [ne] sono convinto, che ci saranno degli allenatori italiani, che possano allenare un giorno la Nazionale maggiore.
Oggi ci sono tanti giocatori, tra cui molti compagni di squadra con i quali abbiamo condiviso la maglia azzurra, che hanno intrapreso un percorso d’allenatore, penso [ad esempio] presso la Benetton Treviso, dove ci sono Marco Bortolami, ex giocatore e compagno di squadra, come anche Andrea Masi e Fabio Ongaro, che sono ex compagni di squadra anche loro, e che hanno intrapreso da quattro cinque anni il percorso di allenatore, e che allenano un club, e che probabilmente mi auguro un giorno possano anche loro avere l’opportunità di allenare la Nazionale, speriamo che questa tendenza possa cambiare, ovviamente in tutti i campi, ma anche a livello aziendale, tante volte si va a cercare le competenze altrove, e non in Italia, con il rugby probabilmente abbiamo anche cercato di fare questo, non avendo una cultura o le risorse umane, di qualità, in questi ultimi 15-20 anni, a livello tecnico siamo andati a cercare allenatori all’estero, ed abbiamo cercato, ecco, di imparare e crescere. La tendenza sta cambiando, ovviamente speriamo che a breve, ci possa essere, me lo auguro, anche uno staff tecnico italiano, 100% italiano.
Club Italia-Francia: Dopo una carriera sportiva caratterizzata da successi, ovvero i suoi titoli, ed affermazioni personali, coma la fascia da capitano più volte attribuita, ha intenzione di rimanere nel mondo dello sport, o ha già in mente qualche progetto. Ad esempio, finanzierebbe attività anche umanitarie?
Sergio Parisse: Sicuramente io sono sempre stato, e lo sono ancora, molto sensibile a diverse iniziative umanitarie, che sono legate al mondo dello sport non solo del rugby. Dopo una carriera così lunga, e l’opportunità di scoprire il rugby e come si vive il rugby, ad un certo livello, come ad esempio in Francia, come è vissuto, e quanto sia importante la comunità che si trova attorno ad una squadra di rugby, ci sono delle responsabilità che vanno al di fuori del campo, al di fuori del rugby giocato, e queste sono delle responsabilità che uno da giocatore, ma soprattutto quando si è capitano, magari di una squadra di club ma anche in nazionale, sono anche delle responsabilità, di cui uno ha piacere, anche se parlo a titolo personale, ha piacere di sostenere. Quindi perché no, per il mio dopo carriera, nel breve periodo, giocherò ancora un’altra stagione, diciamo che sono più vicino alla fine della carriera che all’inizio; sicuramente lascio aperte tutte le strade, tutte le opportunità che si potranno presentare in futuro, per coinvolgere la mia persona in qualsiasi tipo di iniziativa, come ho sempre fatto nella mia carriera. Iniziative che io possa condividere sul piano dei valori e delle linee guida. Non seguirei mai delle iniziative, che siano magari anche economicamente interessanti, senza condividerne l’etica ed i valori. Ad esempio, anche con gli sponsor, è importante la condivisione del messaggio. Se mi lego ad un progetto, ritengo importante condividerne i valori.
Club Italia-Francia: Campioni significa essere imprenditori di sé stessi, che consiglio darebbe ad un italiano che desiderasse praticare lo sport in Francia, questo sport in Francia?
Sergio Parisse: Sicuramente, in Francia, vi sono le possibilità, grazie a molte squadre in giro nel Paese [d’oltralpe], dai piccoli paesini, alle grandi città, vi è la possibilità di giocare a rugby un po’ dappertutto. Poi il rugby, secondo me, è uno sport, che deve rimanere accessibile a tutti, dovrebbe provenire da una passione che spinga ad avvicinarsi a questo sport. Credo sia raro avere la fortuna di lavorare e poter vivere della propria passione. Per me è stata la realizzazione di un sogno. Il rugby deve primo di tutto essere “divertimento con gli amici”. Sicuramente in Francia, vi è la possibilità di giocare a rugby a qualsiasi livello. Sì, in Francia il rugby è uno sport di prima fascia, rispetto alla situazione che ahimè, in Italia, si vive, rugbisticamente parlando, ad oggi.
Club Italia-Francia: Crede che vi possano essere dei punti in comune tra lo sport e la riuscita personale, intendo a livello di valori, e soprattutto sul piano mentale?
Sergio Parisse: Ogni sport è veicolo di valori, ogni sport parte dal presupposto che vi è un aspetto anche di competizione. Lo sport è divertimento, ma poi ovviamente entra in gioco la voglia di vincere, togliersi delle soddisfazioni, voglia di crescere anche a livello individuale, soprattutto negli sport di squadra, dove il raggiungimento di un obiettivo passa delle volte all’interno del gruppo, dove si integrano gli obiettivi personali, i traguardi; uno può crescere anche a livello mentale, basandosi sul rispetto, il senso del sacrificio, le difficoltà che bisogna saper affrontare per il raggiungimento di un obiettivo; tutto ciò credo formi tantissimo una persona, a prescindere dalla partita di rugby o di una squadra. In questo, credo che il rugby sia uno sport che dà tantissimo anche sul piano umano.
Club Italia-Francia: Nel 2012, Lei ha effettuato un doppiaggio per il film d’animazione Disney, “Ralph Spaccatutto”, doppiando il personaggio di Zangief. Come è stata quest’esperienza, e se sia un’attività che ripeterebbe?
Sergio Parisse: L’esperienza è stata fantastica, qualcosa che ho fatto per la prima volta. Ma devo ammettere d’aver scoperto quanto sia complicato il lavoro del doppiatore. Anche se non avevo moltissime battute da pronunciare, ho capito come la difficoltà sia pure nel come lo dici, nel recitare, o leggere; in effetti, altra cosa è vedere l’immagine e far sì che quello che dici abbia un tono di voce, una tonalità, un senso che rispecchi ciò che si vede sul grande schermo. In conclusione, sì, è stata un’esperienza che ripeterei assolutamente.
Club Italia-Francia: Quali sono i suoi prossimi obiettivi?
Sergio Parisse: Diciamo che ho un’idea abbastanza chiara su quello che vorrei fare nel futuro. Non vorrei restare in una fattispecie legata solo al mondo del rugby. Sarò sempre legato a vita al rugby, perché è la mia passione è quello che amo, e vorrei poter ridare un giorno a questo sport tutto quello che mi ha dato. Ad esempio, da due anni sto seguendo il percorso di formazione da allenatore, professione che in futuro mi piacerebbe esercitare. O anche, essendo stato avvicinato da più aziende, un’attività che possa spiegare l’importanza del lavoro di squadra per il raggiungimento di un obiettivo, poiché ovviamente un singolo non può affrontare tutto da solo. Solo un giocatore fa meta, ma non potrebbe mai farla senza gli altri XIV. Trovo vi siano molte somiglianze con il mondo aziendale. Per il mio futuro sono molto legato al rugby e vorrei ripagare questo sport per quello che mi ha dato, magari in altre vesti che quelle da giocatore, ovvero, magari da allenatore o dirigente. Spero semplicemente, che le mie esperienze di vita e di giocatore, siano, anche sul piano, aziendale, utili per il raggiungimento di un obiettivo.
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Intervista del
1 Luglio
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Sportivo
rugbista italiano uno dei giocatori migliori al mondo nel suo ruolo.
