
Sara Gallinari
Club Italie-France : Lei è a capo della società AI°FI. Potrebbe descriverci le sua attività ?
Sara Gallinari : AIFI è nata per facilitare le relazioni economiche fra Italia e Francia. Si tratta di un’idea che è maturata piano piano in seguito alla mia mobilità professionale da Milano a Limoges. Nei primi mesi di ambientazione, mi sono resa conto di molte differenze fra Italia e Francia, soprattutto nelle relazioni professionali, oltre che personali. Solo che, mentre nella vita privata queste differenze alla fine erano meno problematiche perché si trattava di relazioni scelte e senza particolari finalità di risultato, in quella professionale hanno rischiato di avere un impatto negativo con i miei colleghi e i miei superiori. Riflettendo più largamente al mondo delle imprese e confrontandomi con altri espatriati italiani in Francia mi sono resa conto che non soltanto le mie riflessioni erano condivise da molti altri, ma che mancava da un lato la consapevolezza di queste differenze (da entrambi i lati, ma soprattutto da parte italiana, devo dire) ma mancava anche un interlocutore unico che potesse accompagnare gli espatriati, e più in generale le imprese, in tutti gli aspetti di interfaccia con l’Italia, dal semplice lavorare insieme alle questioni fiscali (la legislazione nei due paesi è estremamente complessa e abbastanza differente), alle questioni di diritto del lavoro (aspetto fondamentale in particolare per il manager che devono gestire collaboratori) e a tutto ciò che è legato alla relocation (banalmente ricerchiamo soluzioni abitative con caratteristiche diverse, per esempio misuriamo diversamente la superficie abitabile). Con alcune persone che lavoravano in questi diversi settori ho quindi deciso di creare AIFI, in modo da offrire un’interfaccia unica alle aziende che si trovano a fare business fra la Francia e l’Italia.
Oggi abbiamo quindi tre target: gli imprenditori che desiderano investire in Italia e viceversa, le aziende che affrontano fusioni e acquisizioni o che si trovano con governance o team franco italiani e gli expatriate che si trovano a trasferirsi in Italia o viceversa.
Club Italie-France : Secondo lei, il mondo degli affari, quanto dipende dalle relazioni umane ?
Sara Gallinari : L’aspetto relazionale è fondamentale, in quanto le organizzazioni (di tutti i tipi, non solo le aziende), si basano sulle relazioni umane. Se a questo aggiungiamo il fatto che fra Italia e Francia c’è da sempre la credenza che le differenze siano minime (sentiamo dire molto spesso: “ah, gli italiani sono i nostri cugini” … dall’altro lato, forse un po’ meno!) si fa presto a sottostimare le differenze culturali. In realtà, se facciamo astrazione delle abitudini di vita nel quotidiano, che sono piuttosto condivise e difficilmente ci sorprendono (la gastronomia, l’architettura, la letteratura e la poesia che risentono reciprocamente degli enormi e continui scambi culturali fra i due paesi che esistono da tempo immemore), nell’ambiente professionale scopriamo le differenze più rischiose, nel senso che sono quelle che poi rischiano di far saltare trattative commerciali, operazioni di fusione e acquisizione, riorganizzazioni, relazioni capo collaboratore o cliente fornitore, integrazioni… Per questo motivo è nata AIFI, dapprima soprattutto per facilitare le relazioni professionali in presenza di collaboratori franco-italiani. La sua formula Squadra ha infatti come finalità di accompagnare le persone a lavorare bene insieme, a far comprendere le rispettive logiche di funzionamento, a chiarire i registri di comunicazione e gli stili manageriali nonché le relazioni fra clienti e fornitori.
In tutto questo non dobbiamo dimenticare che tali diversità sono anche legate alle particolarità dei tessuti economico francese e italiano che, malgrado le molte similitudini, presentano anche qualche differenza, in particolare rispetto alla dimensione media delle imprese, alla loro localizzazione, all’apparato legislativo e alle infrastrutture dei due Paesi. È anche possibile, però, che il rapporto causa effetto sia invertito, in realtà: che le scelte operate dai 2 paesi in merito alla creazione di impresa dipendono proprio dalle differenze culturali? Di fatto il modo di fare impresa, cosi come il sistema giuridico e la configurazione urbana di un paese non sono altro che manifestazioni della cultura. Le opere del grande sociologo Philippe D’Iribarne ce lo spiegano bene.
Club Italie-France : Perché secondo lei, le abilità sociali non vengono mai citate esplicitamente come un valore intrinseco fondamentale, ma si preferisce basarsi sulla specifica competenza tecnica (marketing, comunicazione,..). Eppure se ci si guarda intorno, in tutte le imprese di successo l’abilità sociale è stata determinante quanto se non oltre alla competenza tecnica
Sara Gallinari : Devo dire che anche su questo trovo una certa differenza di sensibilità fra Italia e Francia, non sono certa che avrei potuto intraprendere questa avventura in Italia all’epoca in cui ho creato AIFI. Mi spiego meglio: quando ho affrontato la mobilità geografica tra Milano e Limoges, l’azienda che mi ha accolto ha organizzato immediatamente un accompagnamento interculturale, oltre al classico package di mobilità internazionale, che includeva la relocation ma anche una formazione alla cultura francese, aspetto che l’azienda italiana non aveva preso in considerazione all’epoca. Senza fare generalizzazioni ingenerose, trovo che in Italia c’è la credenza che gli italiani si adattino un po’ dappertutto per qualità cosiddette naturali, il che in parte è anche vero : le modalità di integrazione degli italiani all’estero passano molto per il lavoro, che è uno dei valori fondamentali ancora oggi della cultura italiana (ce l’abbiamo iscritto nel primo articolo della costituzione) e negli ambienti professionali le competenze richieste ai collaboratori restano per la maggior parte competenze cosiddette hard, ovvero di tipo tecnico. Ad esempio, evolvono come manager soprattutto i collaboratori più preparati tecnicamente, quelli che sanno di più, dal capo ci si aspetta ancora mediamente risposte tecniche. Naturalmente esiste il piano di formazione ma con regole e obbligazioni per il datore di lavoro molto più leggere rispetto a quello che esiste in Francia, dove praticamente ogni governo ha varato la sua legge sulla formazione continua. Esistono diverse leggi in Francia che ruotano intorno allo sviluppo personale dei collaboratori, tipicamente quella sulla impiegabilità, che si è evoluta attraverso i diversi governi negli ultimi 15 anni : l’investimento che il datore di lavoro deve fare nei confronti dei propri collaboratori è piuttosto ampio (cito per esempio la GPEC oggi GEPP, che obbliga il datore di lavoro ad anticipare il bisogno di competenze in modo tale da allineare i propri collaboratori sui bisogni futuri dell’azienda e del mercato del lavoro attraverso piani di sviluppo molto strutturati). Queste differenze si possono riscontrare anche negli organigrammi: nelle risorse umane, lato francese, molto spesso troviamo funzioni che in Italia non esistono e viceversa. In Italia, nelle aziende fortemente strutturate, esistono per esempio funzioni quali l’organizzazione del personale, gli analisti di organizzazione, l’attività di compensation and benefits è molto sviluppata. In Francia nelle risorse umane troviamo molte professionalità nell’ambito dello sviluppo, quindi formazione e gestione delle competenze. Anche la valutazione del personale avviene in modo diverso, molto centrata sugli obiettivi e sulla performance in Italia, più centrata sulle competenze in Francia.
Infine, le competenze manageriali sono insegnate in Francia fin dall’università, mentre invece in Italia, quando si sceglie una facoltà economica, come è stato il mio caso, si studiano soprattutto i modelli economici, le materie hard della vita d’impresa, ma non si seguono (che io sappia, ma magari nel frattempo ci sono stati cambiamenti radicali) veri e propri corsi sul management, ovvero su come gestire le persone : questi sono lasciati più alla formazione continua e dedicati ai collaboratori che diventano manager, quando l’azienda se ne occupa. In molte aziende, soprattutto quelle meno strutturate, il manager è spesso lasciato un po’ da solo, si considera che debba imparare questa competenza direttamente sul campo, spesso dal proprio capo.
Club Italie-France : Molto spesso il successo come il fallimento aziendale è direttamente legato all’imprenditore. Quali sono secondo lei i fattori cruciali che impattano positivamente e negativamente la performance aziendale ?
Sara Gallinari : Assolutamente, anche se trovo che il modello francese abbia preso un po’ le distanze dalla figura dell’imprenditore: quello che voglio dire e che in Francia si è cercato fin da subito di pensare al dopo, di pensare alle persone che potrebbero prendere il posto dell’imprenditore, una volta questi uscito dall’azienda. Molto coerente con una certa attitudine di avversione al rischio e alle incertezze, cose che in Italia fanno molto meno paura: ci siamo talmente abituati! Da qui la creazione di diversi percorsi formativi a livello universitario che permettono di formare la classe manageriale e la classe politica (si pensi all’ENA).
Il modello di management francese e inoltre mediamente più partecipativo di quello italiano, anche se probabilmente le persone che sono abituate a lavorare con i paesi del nord dell’Europa sorriderebbe davanti ad un’affermazione del genere perché loro vanno ancora di lontano nella ricerca del consenso. In Francia, invece, non si disdegnano sane discussioni anche molto animate per arrivare a una forma di presa di decisione collettiva e condivisa, ma che prende comunque in conto i livelli di responsabilità degli uni e degli altri. Nonostante la Rivoluzione francese abbia lasciato i suoi segni, la gerarchia in Francia è ancora ben presente, esattamente come in Italia, solo che si fonda su prerogative diverse. Il manager è di solito una persona che ha fatto studi superiori, durante i quali hai imparato le competenze manageriali e che a volte si ritrova a gestire persone di cui non conosce necessariamente il lavoro nei dettagli. Esiste una netta differenza in Francia fra le persone che gestiscono, chiamati cadres, e le persone che eseguono, e questa differenza ruota intorno alla nozione di autonomia della persona, che quindi si considera più o meno direttamente legata al livello di studi : quando si ha una laurea in Francia di solito si entra in azienda direttamente con la categoria socio professionale di cadre, che non è esattamente l’equivalente del quadro, in quanto si considera che il percorso di studi abbia preparato la persona a ruoli di una certa responsabilità. In Italia invece di solito si acquisiscono ruoli manageriali in virtù dell’esperienza e della conoscenza dell’impresa: queste due qualità sono fondamentali per poter dirigere altre persone, quando invece il titolo di studi non è sempre necessariamente indispensabile. Si richiedono quindi qualità diverse al management : da un lato, quello francese, il manager è di solito una persona che ha visione globale, competenze strategiche e capacità di analisi, che deve dare linee guida e prendere decisioni solamente quando il livello di responsabilità (nel senso gerarchico) dei collaboratori non è più sufficiente ; dal lato italiano, il manager è invece di solito una persona molto esperta nel proprio settore, anche specializzata, che deve dare risposte tecniche e prendere decisioni in virtù della sua esperienza.
I processi decisionali sono quindi molto diversi, partecipativo e per livelli di responsabilità in Francia, più verticale e centralizzato in Italia. Entrambi i modelli hanno pregi e difetti. È un po’ come nel teatro, vede: Lei naturalmente conosce Shakespeare. Bene, se lo ha letto ha visto che in qualunque libretto, l’Amleto o Macbeth, esistono la voce del narratore e poi, nel dettaglio, tutte le battute degli attori. È tutto è descritto e riportato nei minimi dettagli. Chiunque compri l’Amleto è in grado di riprodurre questo pezzo teatrale 7 giorni su 7 in modo identico, poco importa se membri della compagnia teatrale di tanto in tanto cambiano, basta dare a quelli nuovi qualche giorno per imparare il libretto.
La commedia dell’arte all’italiana, invece, ha premesse completamente diverse: esiste un canovaccio con qualche indicazione, qualche linea guida, ma poi sta agli attori interpretare e il risultato è un pezzo teatrale che cambia ogni sera in funzione dell’ispirazione degli attori e in funzione del momento. Questo libretto diventa presto non indispensabile e la compagnia è perfettamente in grado di recitare ogni sera, anche se sempre in modo parzialmente diverso, ma ammesso che i membri rimangano tutti al loro posto. In un caso la qualità della performance riposa sul metodo e sui processi, nell’altro sulle persone che compongono il team.
Club Italie-France : Quali sono le caratteristiche che distinguono l’establishment imprenditoriale italiano da quello francese ?
Sara Gallinari : Secondo gli ultimi dati il tessuto economico francese è costituito al circa 95% da TPE e PME, ovvero da piccole e piccolissime aziende, in quello italiano la percentuale è circa del 99%. Il vantaggio del modello francese e che le aziende, che passano più rapidamente da un modello manageriale che ruota intorno all’imprenditore ad un sistema più “industrializzato”, riescono a raggiungere una massa critica mediamente più importante in termini di numero di persone, di industrializzazione delle prese decisionali e degli strumenti di anticipazione del rischio, per una maggiore produttività. Il tutto sostenuto da un sistema amministrativo, quello dello stato francese, molto centralizzato e molto omogeneizzato. Come si dice in Francia, uno per tutti e tutti per uno!
Il vantaggio del modello italiano è una dimensione più ridotta che permette più flessibilità e, al tempo stesso, una grande qualità di esecuzione, grazie ad un sistema di trasmissione delle conoscenze che molto spesso avviene nell’ambito familiare e nel medio-lungo termine. La specializzazione è, come dicevamo, una conditio sine qua non per progredire in azienda. Dall’altro lato i mezzi economici, spesso limitati a quelli della famiglia, raggiungono raramente masse critiche talmente importanti da permettere lo sviluppo non solo internazionale, ma anche semplicemente nazionale e molte aziende restano quindi legate al territorio, plafonate alle capacità dell’indotto locale. A questo si accompagna una segmentazione del territorio sia economica sia amministrativa che in Italia è molto più importante : pensiamo alle specificità regionali, ai distretti (realtà economica spontanea tipicamente italiana che in Francia non esiste perlomeno non negli stessi termini), ad una particolarità geografica che pregiudica seriamente la mobilità delle persone e delle merci, una severa mancanza di infrastrutture e un’instabilità politica che negli ultimi 77 anni, ha visto succedersi 68 governi.
Parlando di governo, poi, le istituzioni francesi sono da sempre molto più presenti nell’economia del paese rispetto alle istituzioni italiane, c’è da dire anche su richiesta del mondo dell’imprenditoria italiana stessa, che considera a volte controproducente la presenza dello stato nelle questioni economiche. Anche su questo si avvertono cambiamenti, ma, mediamente, la politica francese è molto più presente in questo frangente, il che fra l’altro non manca a volte di creare qualche imbarazzo in certe operazioni di fusione e acquisizione che hanno interessato i nostri due paesi nell’ultimo decennio, basta scorrere le pagine del libro di Anaïs Ginori Falsi Amici, Italia-Francia relazioni pericolose per avere una buona panoramica in questo senso.
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