
Jonathan Pacifici
Club Italia-Francia: Lei dirige un fondo di Venture Capital, Sixth Millennium Venture Partners. Quali sono le vostre attività principali e il vostro perimetro territoriale di azione?
Jonathan Pacifici: Sixth Millennium è un veicolo di Venture Capital con un mandato molto chiaro. Investire in società israeliane tecnologicamente disruptive. Generalmente operiamo in fase ‘superseed’ ovvero fino al round A di investimento. È la fase nella quale a nostro avviso è possibile realizzare risultati molto importanti. Investiamo in diversi settori nella cosiddetta ‘filiera del code’: Cybersecurity, Big data, Analytics, IoT, Fintech, SaaS etc. Gran parte dei nostri Investor sono sono Family Offices o HNWI europei.
Club Italia-Francia: Lei abita in Israele, tra le nazioni leader tra le altre cose per la presenza e la dinamicità degli incubatori di startup, nonché in tema di cyber security. Quali sono i segreti del successo (e dell’attrattività) di Israele?
Jonathan Pacifici: Secondo i dati IVC-ZAG le startup israeliane hanno raccolto $ 10,6 miliardi nel 2020, superando la soglia psicologica dei 10 miliardi e battendo tutti i record nonostante la pandemia globale senza precedenti che ha devastato l’economia mondiale. Si tratta di un incremento di oltre il 20% rispetto al 2019 e il capitale versato alle aziende locali è più che triplicato in soli sei anni. Parliamo solo di investimenti: il conto delle quotazioni, acquisizioni e fusioni è ancora da fare ma sarà ancora una volta astronomico. Nel 2019 il valore degli exit è stato di $21,74 miliardi. Nel Q1 2021 la raccolta è stata di $5.3 miliardi con almeno 15 nuovi unicorni. Di fronte a questi numeri sarebbe semplice rispondere: l’accesso al capitale. In realtà la presenza dei fondi di VC è il risultato di una serie di fattori che hanno generato un ecosistema virtuoso. Tra questi senza dubbio l’eccellente livello tecnico degli imprenditori frutto di un sistema didattico straordinario e del ruolo significativo del training militare, soprattutto nelle unità informatiche dell’esercito. A questo bisogna aggiungere la presenza in loco di tutte le big tech con centinaia di centri di ricerca e sviluppo, spesso nati dalle stesse acquisizioni fatte in Israele. Oggi tutti questi elementi fanno di Israele uno snodo, un hub, imprescindibile per chiunque si occupa di tecnologia.
Club Italia-Francia: Per fare un parallelo tra Israele e l’Unione Europea, possiamo dire che malgrado gli ultimi sforzi, l’Unione Europea pena a veder nascere e crescere quelli che chiamiamo « Unicorn ». Quali sono secondo lei i motivi che bloccano la nascita e la crescita di startup performanti nel vecchio continente?
Jonathan Pacifici: Il problema principale in Europa è che l’innovazione, soprattutto quella tecnologica, necessita di un ecosistema ed in molti paesi europei, ad esempio l’Italia, questo ecosistema non esiste. Non ci sono i centri di R&D delle grandi multinazionali, non ci sono i fondi di Venture Capital ed anche gli atenei universitari hanno un approccio molto distante rispetto a quello che forma i ragazzi delle startup israeliane o americane. Quand’anche si vede qualche iniziativa ‘innovativa’ spesso è la pura applicazione commerciale (generalmente in ottica B2C) di tecnologie esistenti. Il vero motore invece sono quelle realtà che si occupano di ‘enabling technologies’ e che cambiano le regole nei rispettivi mercati. È proprio per questo che dico sempre che Europa ed Israele sono complementari. È inutile come alcuni propongono cercare di duplicare il modello Israele in Europa, non funziona e non funzionerà. Concentriamoci invece sul competitive advantage che abbiamo. Le aziende israeliane sono assetate di una sponda di mercato. In Israele c’è la tecnologia e l’innovazione, in Europa un’infrastruttura industriale di tutto rispetto. La formula dovrebbe essere: tecnologia israeliana + sistema industriale europeo. Da qui la possibilità di Joint Ventures e collaborazioni industriali e commerciali. È una formula che funziona e che nel medio e lungo termine permette di valorizzare le aziende europee rendendole più competitive sui mercati globali.
Club Italia-Francia: Se poniamo il focus in Italia, possiamo notare che le startup rispetto ai vicini europei penano a decollare, anche per una estrema mancanza di fondi. Secondo lei che conosce molto bene l’Italia, com’è possibile uscire da questo impasse? Cosa manca all’Italia per poter costruire un vero e proprio piano a sostegno delle sue aziende?
Jonathan Pacifici: In Italia i fenomeni che descrivevo poc’anzi sono addirittura accentuati. Il primo problema è una carenza tecnologica. Per questo il primo punto dovrebbe essere tornare ad occuparsi ed ad investire su società ad alto contenuto tecnologico. Un secondo punto è a mio avviso l’autoreferenzialità dell’ecosistema Italia. In un mondo globale vince chi è in grado di dialogare con il resto del mondo. Israele non sarebbe ciò che è senza un forte rapporto di osmosi con la Silicon Valley. Sul fronte dei capitali auspico una maggiore presenza del mondo aziendale con la nascita di Corporate Ventures che possano incanalare le profonde radici industriali del paese con un twist innovativo. Da questo punto di vista, come ho spiegato nel mio nuovo libro “Gli unicorni non prendono il Corona” lo Stato dovrebbe limitarsi a rimuovere gli ostacoli, lasciando agli imprenditori ed al mercato di operare in serenità.
Club Italia-Francia: Da advisor, quali sono gli ambiti in cui consiglierebbe ai giovani di investire nei prossimi 20 anni?
Jonathan Pacifici: In un mondo sempre più permeato dalla tecnologia vincerà chi avrà migliore accesso a quelle skills tecnologiche imprescindibili per le aziende tech. In molti paesi, incluso Israele, questo si traduce in un’esposizione precoce al mondo della programmazione, della fisica, della matematica e della biologia. Oggi alle medie in Israele le mie figlie programmano in Python ed Arduino e persino alle elementari apprendono i primi rudimenti di Processing. Il mio consiglio pertanto è studiare. Certo non basta perché il mondo è un luogo sempre più competitivo. Certo è che saranno avvantaggiati coloro che disporranno di molteplici set di skills. Ad esempio, le lingue, così importanti in un mondo globale ma anche capacità che possono costruire ponti tra discipline diverse.
Club Italia-Francia: Secondo lei, è necessario una sorta di patto tra multinazionali e start-up affinché le seconde possano avere un sostegno economico delle prime e le prime possano guadagnare dalla dinamicità delle seconde?
Jonathan Pacifici: È il tema del corporate venture che in molte zone d’Europa, penso soprattutto all’Italia fatica a decollare. Io non credo a patti, politiche e piani. Il mondo degli investimenti deve avere una logica finanziaria ed industriale. Oggi per le grandi corporate è semplicemente un suicidio non investire in innovazione e poiché l’innovazione per definizione è quasi sempre esterna all’esperienza aziendale, non aprirsi al mondo startup è un errore madornale.
Club Italia-Francia: Le capita di lavorare su progetti che coinvolgano la Francia e l’Italia? Quali sono secondo lei i maggiori assi strategici di sviluppo su cui questi due paesi dovrebbero puntare?
Jonathan Pacifici: Ho molta esperienza sul mercato italiano, meno in Francia. In Italia ed esempio il tema dell’industria 4.0 è cruciale per lo sviluppo economico dei prossimi anni. Al contempo il paese ha una serie di expertise, dal campo biomedicale a quello manifatturiero che andrebbero valorizzate. Il problema è che la velocità del cambiamento non attende i nostri ritmi. Prendiamo un comparto con una storia gloriosa tanto in Francia che in Italia: l’automotive. Oggi Israele, senza mai aver prodotto una sola auto, è diventato uno snodo fondamentale in un mercato nel quale il software conta molto di più del telaio e l’AI alla base della guida autonoma sarà ancora più cruciale nei prossimi anni. Le case automobilistiche di tutto il mondo vengono a cercare tecnologia in Israele mentre l’Europa rimane indietro.
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Presidente del Jewish Economic Forum e fondatore di Sixth Millennium
