
Nicholas Diddi
Club Italia-Francia: Lei è un architetto che ha cumulato molte esperienze in Europa e all’estero. Qual è stato il suo percorso e quali sono le tappe che hanno più influenzato la sua carriera e la sua visione da architetto?
Nicholas Diddi: Ho avuto la fortuna di conoscere personalità differenti, dalle quali ho appreso che questo mestiere passa per una moltitudine di stimoli, conoscenze e approcci. In India, per esempio, ho lavorato con un Maestro del Movimento Moderno: ricordo una cena, dove la storia dell’architettura del Novecento sembrava sedesse con noi, talmente era forte il potere evocativo del mio interlocutore. In Italia ho scoperto che si può giungere a un buon progetto partendo da punti di vista opposti: negli anni universitari ho appreso a costruire una teoria di progetto, nelle esperienze lavorative ho appreso a maneggiare la libertà di espressione. Quando sono arrivato in Francia non conoscevo il francese; l’esercizio del mestiere ha coinciso con l’apprendimento della lingua, un parallelo interessante.
Club Italia-Francia: Perché la scelta di fondare il suo studio di architettura e perché chiamarlo «l’Atelier»? Per quale motivo ha scelto Parigi come luogo per lanciare la sua attività? Quali sono i valori veicolati dall’atelier Nicholas Diddi?
Nicholas Diddi: Ho deciso di fondare lo studio nel momento in cui mi sono sentito esperto e consapevole; l’occasione è arrivata quando ero a Parigi, gli eventi hanno seguito il loro corso naturale. Atelier per me ha molti significati, il più importante penso provenga dalle origini della mia famiglia; vorrei che i miei progetti fossero il risultato di un processo artigianale, le proposte devono essere giustificate dalla necessità; anche gli interventi più creativi hanno bisogno di costruire una narrazione coerente. Le architetture devono in primo luogo resistere al tempo, un giudice molto esigente.
Club Italia-Francia: Come cambia l’approccio all’architettura in Italia e in Francia a livello pratico, teorico e anche burocratico?
Nicholas Diddi: In Italia si esce dall’università con molta più sensibilità rispetto al contesto e alla storia dei luoghi. Questa posizione deriva da un’importante eredità teorica, ma anche dalla presenza sul territorio di una grande quantità di monumenti, che influiscono inevitabilmente sulla vita delle persone. In Francia ho trovato più libertà, quasi un’incoscienza collettiva, capace però di trovare con molta più facilità un linguaggio contemporaneo. A livello pratico, in Francia ci sono trentamila architetti iscritti all’ordine, in Italia centocinquantamila, molte considerazioni sono possibili. Per quanto riguarda la burocrazia, sono solo regole e procedure, un passaggio obbligato per ogni progetto, ma del tutto ininfluente nello sviluppo di una buona architettura.
Club Italia-Francia: Gli edifici e le infrastrutture sono responsabili di almeno il 40% delle emissioni di gas a effetto serra. Come può l’architetto e l’architettura dare il suo contributo alla causa ambientale?
Nicholas Diddi: La politica può dare il vero contributo alla causa, l’architettura é solo il riflesso della società. Si devono cambiare le dinamiche di mercato, si deve sensibilizzare la popolazione, si deve intervenire sulle abitudini professionali. Noi sappiamo costruire in terra cruda, in legno, in pietra, sappiamo progettare facciate ventilate, ma il punto non è questo. La questione climatica è nata con l’industrializzazione; la trasformazione e il trasporto dei materiali devono divenire sostenibili. A mio avviso, il vero contributo che l’architetto e la committenza possono veramente dare nel breve termine si trova nella circolarità dei materiali: il riutilizzo degli elementi da costruzione, degli arredi, degli impianti è sempre esistito nella storia, ce ne siamo solo scordati, é tempo di recuperare la memoria.
Club Italia-Francia: Digitalizzazione e architettura: la prima rischia di comprimere la creatività e la libertà ideativa del pensiero architettonico?
Nicholas Diddi: Al contrario, tutto il tempo risparmiato nella produzione di documenti e disegni può potenzialmente essere impiegato in ricerca e progettazione. La distorsione degli strumenti digitali in effetti può avere effetti devastanti, cosa che può accadere nella vita privata di tutti noi del resto. L’architettura resta un mestiere fisico, è necessario viaggiare molto, conoscere la vita delle persone, il mezzo di restituzione è secondario. L’unico strumento che non deve essere sostituito è lo schizzo, il disegno manuale rapido che permette in pochi secondi di esprimere un concetto, o l’essenza di un luogo; é la chiave di questo lavoro.
Club Italia-Francia: Quali sono i suoi progetti, obiettivi e sfide per i prossimi anni?
Nicholas Diddi: Una società in continuo mutamento richiede un esercizio di apertura mentale costante. Una visione trasversale è sempre più necessaria e l’interpretazione delle esigenze della nostra epoca è un esercizio stimolante. La pratica che cerco di sviluppare ha una sorta di moto proprio, segue il flusso degli eventi, cercando di cogliere la natura delle cose. Il mio progetto ideale è il prossimo, il mio obiettivo realizzarlo, la mia sfida farlo al massimo delle mie capacità.
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Presidente dell'Atelier Nicholas Diddi
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